La Pasqua nell'Arte

La Pasqua nell'Arte

Sin dalla preistoria l’arte ha avuto il compito di rappresentare uno dei tanti linguaggi espressivi di una società, così come la musica, la letteratura, la filosofia, e ogni altra forma di espressione umana. Non poteva quindi mancare la presenza dell’arte a rimarcare uno dei momenti più importanti dell’anno, la ricorrenza della Pasqua.

A partire dall’arte paleocristiana, infatti, la committenza artistica diventa soprattutto committenza religiosa, e tutti gli artisti lavorano su temi e iconografie che esaltano e raccontano vicende e fatti biblici ed evangelici. Anche la Pasqua diventa dunque un elemento connotativo delle opere di molti autori, che ne rappresentano i vari momenti in una serie di intriganti immagini, note come Crocifissione, Deposizione dalla croce, Compianto sul cristo morto, Pietà, Resurrezione.

Già dall’epoca bizantina mosaici su fondo oro, dove prevalgono la bidimensionalità e la gerarchia delle immagini, ci mostrano le varie fasi della passione di Cristo, ma è dal Medioevo che predomina la tipologia del Crocefisso su tavola, che in scultura ci viene mirabilmente narrata da Nicola e Giovanni Pisano, padre e figlio, nei bassorilievi dei loro stupefacenti pulpiti (foto 1).

Nel corso del Trecento è un Giotto ormai maturo e affermato a regalarci una delle più belle immagini della Crocifissione, dove vediamo già un gusto e una conoscenza del reale che anticipano le tematiche del Rinascimento: i personaggi, scalati su più piani ad indicare la profondità della scena, risultano vivi e concreti nelle loro manifestazioni di dolore e di pietà, inseriti in un paesaggio connotato da un realistico cielo blu intenso (foto 2).

Nel Rinascimento tutto cambia. La scoperta della prospettiva, come elemento di descrizione del reale, e al tempo stesso caratteristica che consente all’uomo di ascendere alla stessa sfera del divino, fa sì che le rappresentazioni religiose della Passione si tingano di emozioni assolutamente umane. Gesù, uomo fra gli uomini, inserito in un contesto reale, perde la sua natura divina e soffre degli stessi dolori e sentimenti degli uomini comuni. Gli artisti dell’Umanesimo interpretano ciascuno in maniera personalissima questa concezione e mentre Antonello da Messina, col suo “Cristo morto”, realizza una vera e propria opera d’arte vivente, che ci mostra una figura drammaticamente malconcia, emaciata, sfigurata dal dolore (foto 3), Piero della Francesca ricorre all’astrazione tipica dei suoi racconti religiosi, con una splendida “Resurrezione” dove tutto è immoto e sospeso, atto a rendere eterna e assoluta la realtà dell’istante narrato (foto 4). È una pittura, quella di Piero, che non a caso sarà fonte d’ispirazione per i pittori metafisici del XX secolo: i protagonisti sono inseriti in una prospettiva rigida e staticamente ossessiva, dove persino gli alberi sono disposti secondo le regole della sectio aurea, fino a diventare delle statue che non si sveglieranno mai dal loro sonno, e dove lo stesso Cristo risorto, nella sua immobilità, assume a valore dell’Eterno e dell’Assoluto.

Bisognerà aspettare il Rinascimento maturo e il passaggio al Cinquecento per vedere stemperata questa concezione; si passa da quella prima fase di sperimentazione a una fase in cui, finalmente, è possibile mettere in atto le regole della prospettiva con cosciente serenità, anche perché nel frattempo la perspectiva cessa di essere uno scopo a cui giungere ma diventa uno strumento di lavoro come tanti altri. Ed ecco dunque che la descrizione del reale cede il posto all’emozione, al sentimento e alla commozione, con Donato Bramante che nel suo “Cristo alla colonna” indulge al senso antico della pietas nel mostrarci un corpo fortemente scorciato e modellato dalla luce intensa, proveniente dalla finestra a sinistra (foto 5).

Allo stesso modo Luca Signorelli indaga le potenzialità espressive delle masse muscolari per giungere a una rappresentazione d’inaudita violenza: nella sua “Flagellazione” i corpi ruotano e si torcono nella rabbia della punizione, diventano macchine da tortura che si accaniscono su un Cristo dove si concentra tutta la nostra pena (foto 6).

Altri artisti indagano successivi momenti della passione, rinnovando le iconografie: ed è così che Michelangelo propone, riprendendolo da temi nordici, il tema nuovo e inedito della “Pietà”, ovvero del momento in cui il Cristo deposto dalla croce viene tenuto in braccio da Maria. E lo fa da par suo: lo splendido gruppo scultoreo esplode in tutta la sua carica umana, nel contrasto tra il corpo liscio e levigato del Gesù e la veste ricca di pieghe e fortemente chiaroscurata di Maria (foto 7).

Ma il Cinquecento è anche il secolo della Controriforma, che investe tutti i campi della cultura dell’epoca. Anche l’arte ne risente, e i rigidi parametri disposti dalla Chiesa diventano ostacolo all’autonomia dell’artista. Qualcuno, come Rosso Fiorentino, anticipando i tempi, manifesta questa difficoltà creativa mettendo in scena una rigidissima macchina teatrale, tutta angoli e linee spezzate, per descrivere una “Deposizione”, che non a caso verrà ripresa in un memorabile tableau vivant dal più scomodo intellettuale del Novecento, Pier Paolo Pasolini (foto 8 e 9).

Ad uscire dall’impasse manierista è il Caravaggio, un personaggio che diventa il prototipo dell’artista maledetto, ma che ciò nonostante rivela una religiosità sentita e appassionata, vicina ai temi popolari al punto da risultare addirittura prorompente in opere quali il “Cristo alla colonna” (foto 10).

Arriva così il Seicento, il secolo della teatralità barocca, e il racconto della Passione diventa apoteosi e trionfo, esaltazione plateale della fede cristiana. In questo contesto opera il fiammingo Pieter Paul Rubens, che realizza con la sua “Resurrezione” un’opera dinamicamente in divenire, dove tutto è movimento, e dove l’apparire di un Cristo luminosissimo si ripercuote nello spazio circostante come un’onda che tutto travolge e scuote (foto 11).

Il Settecento, diviso tra l’emotività delle memorie rococò e la razionalità concreta dell’Illuminismo, è un secolo che funge da tramite a quelle che saranno poi le tematiche ottocentesche. La rappresentazione figurativa risente di questo spirito del tempo, e ci consegna un Tiepolo che nella sua “Crocifissione”, con le croci disposte in diagonale e non frontali, realizza una composizione a metà tra lo spazio scenico barocco e lo spirito dell’animo romantico (foto 12).

Nell’Ottocento, in pieno Neoclassicismo, è un insospettabile scultore a fornirci una delle più interessanti interpretazioni del tema della passione: Antonio Canova, per una volta alle prese con i pennelli al posto dei marmi, realizza una equilibrata composizione piramidale, con il vertice segnato dalla testa di Maria, mentre nella parte superiore della tela Dio, incarnandosi nel sole, diviene metafora di luce divina (foto 13).

Il divenire delle avanguardie novecentesche stravolge il sistema figurativo a cui da secoli si fa riferimento; nuovi e inediti modi di concepire l’opera d’arte indignano e scandalizzano. In una serie di capolavori che pur nella loro diversità affondano le loro radici nel passato, il tema della Passione è affrontato di volta in volta in maniera religiosa, pietistica, talora anche dissacrante.

A fungere da collante tra i due secoli, è un’opera di Paul Gauguin, “Cristo giallo”, rappresentazione ricca di quei simbolismi che affiorano ovunque nelle tele del pittore bretone, che pur nella modernità della visione non tralascia gli accenni alla cultura e alla sensibilità medievale. L’intento di riprendere un cristianesimo delle origini annuncia quella fusione tra mito e religione che poi l’autore ricercherà nelle sue tele dell’Oceania (foto quattordici).

Ma l’elemento destabilizzante deve ancora apparire: basti pensare allo strascico di polemiche che Renato Guttuso suscita con la sua “Crocifissione” del 1941 (foto 15), che scatenò la reazione scandalizzata della Chiesa e del regime politico allora in vigore, per una rappresentazione dove per la prima volta appariva un Cristo col volto coperto dalla croce del ladrone, e con ai piedi una Madonna nuda. Forse solo oggi, a distanza di così tanto tempo, riusciamo ad accettare quest’opera e il suo religiosissimo e spirituale messaggio contro la violenza dell’epoca, che è violenza universale subita dagli umili di tutti i tempi. E, a miglior comprensione e chiarimento, nulla risulta più chiaro degli appunti dello stesso Guttuso: “Questo è tempo di guerra e di massacri: gas, forche, decapitazioni, voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee”. Mai, forse, erano state espresse da un artista parole così in linea con lo spirito della Pasqua cristiana.

Pasqua 2013, Giuseppe Garaffo